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STORIA

CANADIAN ESKIMO DOG

E’ necessario prima di affrontare la storia, affascinantissima, del Canadian Eskimo Dog, occuparsi della sua collocazione tassonomica: esso è un cane (Canis Lupus familiaris, Linneo 1758) appartenente alla famiglia dei Canidi, della quale fanno parte volpi, sciacalli, coyote, lupi e cani. E’, come tutti i cani, discendente dal lupo, ma non è in nessun modo ibridato con esso, nonostante presenti aspetti, sia morfologici sia comportamentali,  che ricordano molto da vicino il suo antenato. Per indicare il Canadian Eskimo Dog, fin dall’800, in numerosissimi articoli e pubblicazioni, compare il nome “Canis Familiaris Borealis”, dove con “Borealis” si faceva riferimento alla sua area di origine. Oggi questa nomenclatura, che lo etichettava come una ulteriore specie a sè, è considerata scorretta e non valida. Esso è una razza della specie cane.

Il canadian eskimo dog è un perfetto esempio di quella che può essere definita “razza aborigena” o “razza autoctona”, ossia una di quelle razze che non deriva dall’incrocio tra altre razze, ma ha una sua precisa area di distribuzione geografica (Nunavut, Canada) ed è associato ad un particolare gruppo etnico, in questo caso il Popolo Inuit. Esse sono il prodotto di una lenta selezione naturale unita ad una selezione umana più istintiva,  basata unicamente su criteri di funzionalità e di rendimento nel lavoro che i cani sono chiamati a fare. Un lavoro che impareranno senza bisogno di un addestramento lungo e pesante, ma che al cucciolo risulterà quasi del tutto istintivo. Utilizzando le parole di Vladimir Beregovoy, le razze aborigene sono “monumenti della natura e della cultura, perchè hanno dimostrato la loro utilità e superato la prova del tempo. La loro più importante differenza dalle recenti razze allevate artificialmente sta nel fatto che esse si sono sviluppate per le loro capacità di eseguire una data funzione specifica. Il loro aspetto è di secondaria importanza ed è sempre e solo espressione della funzione”. Queste razze vivono con gli umani come animali simbionti, ossia uomo e cane sono interdipendenti per la sopravvivenza: I cani aiutano l’uomo e traggono allo stesso tempo benefici dalla vita con lui, ma non sono in nessun modo “viziati” dalla domesticazione e presentano alcuni  aspetti  nel comportamento che li avvicinano ad animali selvatici.

A riprova della continuità genetica nel tempo tra gli antichi cani aborigeni e gli attuali esite uno studio scientifico del  2012 pubblicato sul “Journal of Archaeological Science” condotto da Sarah K. Brown, Christyann M. Darwent e Benjamin N. Sacks dell’Università della California.  E’ stato confrontato il DNA mitocondriale di resti scheletrici  appartenenti a cani provenienti da diversi siti archeologici in Canada, Groenlandia e Alaska di età paleoeskimo, di epoca Thule e successivi al contatto con gli europei, con il DNA mitocondriale di 51 cani inuit canadesi e groenlandesi e 26 alaskan malamute: è emerso che sia i resti scheletrici antichi, sia i moderni cani inuit canadesi e groenlandesi presentano una alta frequenza dell’aplotipo A31, che in precedenza era stato individuato solo nei moderni cani dell’Artico Nord Americano. Tra gli Alaskan Malamute analizzati invece, solo uno di essi presenta l’aplotipo A31, e ad avere un alta frequenza tra essi e’ l’aplotipo A29 presente frequentemente anche nei Siberian Husky, negli Alaskan Husky  e nei cani provenienti dal Sud Est Asiatico.  L’aplotipo A31 era dunque un filo conduttore, una firma genetica che univa l’intero artico nord americano prima della colonizzazione europea e che oggi si ritrova solo più nell’Artico Nord Americano Orientale (Canada e Groenlandia) indicando la continuità genetica tra cani passati e presenti. La frequenza dell’aplotipo A29 è invece coerente con la sostituzione e l’incrocio con matrilinee euro-asiatiche.

Il nome, Canadian Eskimo Dog (CED), è il nome ufficiale adottato al momento del riconoscimento della razza da parte dell’FCI nel 2018. Questo appellativo tuttavia risulta essere poco corretto ed irrispettoso verso il popolo inuit con cui questo cane ha sempre convissuto: la parola “eskimo”,  che non vuol dire “mangiatori di carne cruda” come si pensava fino a poco tempo fa ma significa “coloro che parlano una lingua straniera” è un termine percepito come dispregiativo. E’ certamente più corretto e rispettoso utilizzare al posto di “eskimo” la parola “inuit” che, in lingua Inuktitut, vuol dire “popolo” o “gli uomini” ed individuare questi cani, come è stato decretato nel 1977 dalla Conferenza Circumpolare Inuit, come Canadian Inuit Dog (CID). Si possono identificare anche con il termine inuktitut utilizzato degli inuit stessi: “Qimmiq” che vuol dire semplicemente “cane”. 

La questione del nome della razza ancora non è chiuso, nè definitivo: il Kennel Club Canadese ha proposto una mozione per sostituire il nome ufficiale “Canadian Eskimo Dog” con “Inuit Qimmiq”, al fine di dare più risalto alle reali origini di questo cane.

Io utilizzerò come sinonimi Canadian Eskimo dog (Ced), Canadian Inuit dog (Cid), Inuit dog e Qimmiq.

Oggigiorno gli inuit, sia canadesi, sia groenlandesi, indicano i loro cani, ovviamente non registrati ad alcun kennel club, come Qimmiq ma anche Traditional Inuit dog o Inuit Husky. Per gli Inuit i confini geografici e politici sono poco rilevanti, cosi come le classificazioni ufficiali.

Storia di un popolo e dei loro cani

La storia di questi incredibili cani inizia molto tempo fa: recenti studi archeologici e paleoantropologici dimostrano che questi cani abitano le terre artiche del nord America da almeno 4000 anni, ossia erano già al fianco dell’uomo in epoca pre-dorsetiana e dorsetiana (paleo inuit).

I dorsetiani erano gruppi di raccoglitori e cacciatori provenienti dalla Siberia che si spostarono attraverso lo stretto di Bering inseguendo i grandi mammiferi. Essi erano già accompagnati da cani utilizzati per la caccia e il traino di slitte e si distinsero per il perfetto adattamento all’ambiente. La loro cultura, che  si sviluppò e prosperò per circa 2000 anni, intorno all’800-1000 d.C. cominciò a declinare, probabilmente per un irrigidirsi del clima che costrinse gli animali a spostarsi rendendo difficile la sopravvivenza umana. Tra l’XI e il XV secolo, gradualmente i dorsetiani lasciarono il posto a gruppi provenienti dall’Alaska, portatori di una cultura detta “di Thule”.  Gli Inuit di oggi discenderebbero proprio dall’ultima ondata migratoria del popolo di Thule avvenuta tra il 1000 e il 1600 d.C..

La cultura Thuleana è strettamente legata alle condizioni climatiche presenti nell’Artico e presenta aspetti che si ritroveranno nella cultura Inuit invariati: erano abilissimi nella caccia in alto mare ai mammiferi marini, utilizzavano la slitta trainata dai cani e fabbricavano strumenti per la caccia pressocchè identici a quelli utilizzati dagli Inuit in epoca storica.      La trasformazione graduale della cultura thuleana in cultura Inuit si ebbe a causa del cambiamento climatico culminato in una piccola glaciazione (dalla metà del XVIsecolo alla metà del XIX secolo) che li costrinse a riprendere la vita nomade e a seguire gli animali nei loro spostamenti. Foche e Caribou (TukTu in inuktitut) divennero il principale sostentamento, vennero abbandonate le abitazioni seminterrate tipiche dei  Thule, sostituite dalle più pratiche tende di pelli o dagli igloo di neve in inverno. Venne abbandonata la lavorazione della ceramica in favore della steatite con la quale si fabbricavano utensili e sculture artistiche ancora oggi ricercate e molto apprezzate. Gli Inuit, prima di entrare in contatto con i bianchi (i quallunaat, “uomini dalle sopracciglia cespugliose”), erano un popolo nomade che si autogovernava e viveva di caccia e pesca in piccoli gruppi egualitari, senza gerarchie o autorità formali, dove il rispetto per le regole tradizionali erano garantite dai legami e dalle relazioni all’interno del gruppo. L’agire si fondava sulla cooperazione, sulla condivisione in caso di necessità e sulla libertà di scelta purchè essa non  fosse contraria agli interessi collettivi. Una società fondata sulla competizione sarebbe stata dannosa in quanto avrebbe incentivato separazioni e spaccature nel gruppo diminuendo le possibilità di sopravvivenza soprattutto in inverno.

La sopravvivenza in un ambiente ostile ed inospitale come quello dell’artico,  era resa unicamente possibile da un alleanza millenaria: quella dell’uomo con il Qimmiq, il Canadian Eskimo Dog. Il cane era l’unico animale domestico presente:  compagno indispensabile sia per trainare la slitta in inverno durante i lunghi spostamenti migratori; sia per gli spostamenti più brevi da una  zona di caccia all’altra; sia in estate in cui le vettovaglie gli venivano caricate sulla schiena o lo si utilizzava per rimorchiare le barche sulla riva. Era un ausilio fondamentale nella caccia: era lui ad individuare il buco nel ghiaccio scavato dalla foca o a portare i cacciatori sulla pista dell’orso polare. In periodi di gravi ristrettezze potevano anche venire mangiati e dalla loro pelliccia si sarebbero ricavati indumenti come calze, guanti e pantaloni.  Il numero di cani per famiglia, prima dell’incontro con gli occidentali, era di 3-5 cani a seconda delle risorse. Con l’arrivo degli europei e l’aumento degli approvigionamenti le famiglie arrivarono anche ad avere 8 -10 cani e con l’intensificarsi del commercio delle pellicce, per poter caricare il maggior numero di pelli sulla slitta, anche a 15 cani.  Il cane era fondamentale per la determinazione dell’identità dell’uomo inuit: “un cacciatore inuit senza cani è solo un mezzo cacciatore”. Un uomo con una numerosa ed efficiente muta di cani era una persona estremamente rispettabile, che poteva sostentare la sua famiglia. L’importanza del cane si ritrova anche negli aspetti spirituali della cultura Inuit che erano incentrati sull’esitenza di entità soprannaturali sia di aspetto umano sia animale, in ralazione tra loro. Grazie ai cani l’uomo poteva partecipare di una piccola parte del mondo spirituale, erano percepiti come il tramite tra la realtà materiale e quella sovrannaturale.

Il declino dell’inuit dog si deve a numerosi fattori: il crollo del mercato delle pellicce intorno agli anni 40 del 900 rese le grandi mute di cani inutilizzate, l’arrivo delle motoslitte negli anni 60 e successivsamente al trasporto aereo resero i cani utili solo più nelle comunità maggiormente remote. Anche se una motoslitta o un viaggio aereo erano molto cari e non potevano fronteggiare il maltempo artico, resero gli spostamenti molto più rapidi e aumentarono le possibilità di carico. Decisive furono anche le epidemie di malattie come il cimurro o  la rabbia portate dai cani degli europei. Ma ciò che più di tutto rese inutile il cane da slitta inuit furono le pressioni del Governo ad abbandonare la vita nomade per abbracciare una vita sedentaria in città.  In questo scenario si apre una delle pagine più terribili della storia inuit e canadese: moltissime sono le testimonianze che raccontano di come le autorità canadesi abbiano provveduto alla quasi totale eliminazione di questi cani compiendo un massacro raccapricciante.  Il Governo, dopo molte inchieste aperte, ha ammesso di avere fatto uccidere i cani ma ha sempre sostenuto che le motivazione di tali atti fossero da ricercare nel contenimento delle epidemie e dunque per ragioni di salute e sicurezza pubblica .  Non è mai venuto alla luce nessun documento che dichiarasse la decisione ufficiale del governo di uccidere i cani da slitta al fine di obbligare il popolo inuit alla sedentarietà; tuttavia nel 2011 il Premier del Quebec Jean Charest ha elargito scuse ufficiali alle comunità inuit e ha devoluto fondi per risarcire coloro che erano stati colpiti e per promuovere la cultura inuit. Se nel 1920 si stimavano 20.000 Qimmiq, nel 1970 ve ne rimanevano circa 200.

Il crollo della quotidianità e della vita tradizionale che per secoli avevano conosciuto, il radicale passaggio da una vita nomade basata su caccia e pesca e la fine della centralità del cane, significò lo sgretolarsi dell’intera identità culturale e della società inuita. Questo portò inevitabilmente all’insorgere di numerosi gravi problemi come alcolismo, disoccupazione, aumento della violenza e suicidi.

Nonostante gli orrori perpetrati ai danni dei cani e della società inuit, alcuni occidentali seppero apprezzare e riconoscere il valore di questi cani:  fin dall’800 i canadian eskimo dogs e il loro cugini groenlandesi, vennero utilizzati nelle spedizioni scientifiche polari, le quali apportarono fondamentali contributi alla metereologia, botanica, zoologia e geologia.  Numerosissimi furono i tentativi di raggiungere sia il Polo Nord che il Polo sud utilizzando metodi più  classici come cavalli,  pony e  automobili; venne perfino utilizzata la trazione umana: tutti miseramente falliti. Molto presto gli esploratori riconobbero l’impareggiabile superiorità del mezzo di trasporto locale, che infatti permise a Robert Elwin Peary di raggiungere il Polo Nord il 16 aprile 1909 e a Roald Amudsen di conquistare il Polo sud il 14 dicembre 1911, solo per citare due tra le imprese più famose.

La situazione di declino disastroso che si era creata a partire dagli anni 40 e che, negli anni 50 e 60, era peggiorata al punto quasi da poter dichiarare il cane inuit canadese scomparso, ebbe una svolta: nel 1972, il biologo del governo William Bill Carpenter, insieme al responsabile dello sviluppo economico per i Territori del Nord Ovest, John McGrath, progettarono un piano di tutela:  l’ “Eskimo Dog Project” che successivamente venne implementato con la creazione del “Canadian Eskimo Dog Research Foundation” . Vennero acquisiti  numerosi soggetti provenienti dalla Penisola di Melville, di Buffin, di Boothia, da Somerset Island e dalle remote comunità di Resolute Bay, Spence Bay e Repulse Bay (non vennero prelevati cani dai territori dell’artico occidentale e in Alaska poichè erano considerati estinti o spesso incrociati con Siberian Husky o altri cani).

 Studiarono a fondo le fotografie e si avvalsero dell’aiuto di anziani Inuit per individuare i cani che fenotipicamente rispecchiavano maggiormente le caratteristiche che il Canadian doveva avere e che, soprattutto, si dimostravano buoni cani da slitta. Venne cosi aperto un Kennel a Yellowknife e i cani vennero registrati sotto il nome di Qimmitt. I cani nati all’interno del progetto venivano poi affidati ad altri allevatori che si rendevano disponibili o a privati che prendevano una coppia riproduttiva.

La registrazione  del primo Canadian Eskimo dog al Kennel Club canadese proveniente dal Canadian Eskimo Dog Research Foundation risale al 1986.

Al di fuori del paese di origine il primo Kennel Club a riconoscere i Canadian fu quello Inglese: fin dal 1880 erano stati riconosciuti come cani di razza artica e dunque indicati genericamente come Husky. Nel 1920 anche in Inghilterra erano praticamente scomparsie rimanevano solo alcuni esemplari allo Zoo di Londra che avevano partecipato alle spedizioni polari. Nel 1938 e nel 1939 era iscritto al Kennel Club un solo cane che partecipò al Cruft. Nel 1976 il nome della razza venne cambiato in Eskimo dog. Gli inglesi adottarono lo standard canadese aggiungendo il termine massimo di peso e taglia.

Oggi sembra vivere una crescente fase di successo: seppur ancora di nicchia e seppur non vi sia affatto un numero elevato di esemplari, lo si può incontrare sempre più in competizioni di sleddog, nel turismo ed anche nei ring delle esposizioni di bellezza. Nel maggio 2000 è stato dichiarato animale ufficiale del territorio artico del Canada, Nunavut. Gli inuit stessi continuano orgogliosamente ad allevarli ricercando l’inclinazione al lavoro, la forza e la resistenza; e ad utilizzarli nella caccia e nelle corse sportive, organizzate proprio al fine di promuovere e proteggere la cultura inuit e il modo tradizionale di andare in slitta. La competizione più conosciuta, nata nel 2001, è certamente L’Ivakkak (che in Inuktitut vuol dire “Quando i cani sono i migliori”).  E’ una competizione annuale alla quale possono partecipare concorrenti dai 16 anni in sù, provenienti dalle regioni del Canada Artico e della Groenlandia. I Team sono composti da due partner e da una muta di 8-12 cani inuit, attaccati tradizionalmente a ventaglio alla tipica slitta inuit (Qamutik). La gara si svolge per una lunghezza di circa 480km in più giorni ed è un momento di condivisione e partecipazione per tutta la comunità: si danza, si mangia, si prega insieme e si riportano in vita i tempi  in cui il popolo inuit e il cane formavano un unicum inscindibile.

E’una razza impareggiabile, oggi elevata a Simbolo del Canada, che deve essere fatta conoscere ma anche protetta e salvaguardata, rispettando quelle caratteristiche che il selvaggio Nord ha forgiato in millenni. Non bisogna permettere che diventi oggetto di mode o che si dimentichi la sua Storia e la sua funzione, anche nel rispetto del popolo con cui ha sempre convissuto.

E’ per me oggi un onore poter condividere la mia vita con questi cani. E’ come avere un pezzo di natura selvaggia e di storia che vive con te e nella quale sei irrimediabilmente immerso!

Alessandra Rizzo